sabato 4 novembre 2017

Bankitalia riconosce il saccheggio legalizzato del risparmio gestito

Fonte: Il Fatto Quotidiano 2 ottobre 2017
Una recente pubblicazione della Banca d’Italia, “Il costo totale dell’investimento in fondi comuni” (Questioni di Economia e Finanza n. 391), mira appunto a valutare quanto viene addebitato ai clienti dei fondi di diritto italiano. A tal fine gli autori vanno oltre al cosiddetto Ter (Total Expense Ratio), un indicatore furbesco molto diffuso, ideale per sottostimarli. E calcolano il Tsc (Total Shareholder Cost) che tiene conto anche di quanto viene sottratto con le commissioni di ingresso e di uscita.

L’entità dei costi complessivi risulta così nell’ordine del 1,6% annuo con punte del 2%. Proiettato sull’intera massa del risparmio gestito italiano significa 32-40 miliardi di euro l’anno. Oltre a corrispondere a un paio di manovre finanziarie, è comunque un saccheggio legalizzato dei risparmi degli italiani, che relega in secondo piano i pur gravi recenti fallimenti bancari. Da oltre trent’anni assistiamo, per riprendere le parole dell’ufficio studi di Mediobanca, a “una sistematica distruzione di ricchezza”.

Leggiamo poi anche di una redditività media residua dei fondi esaminati, al netto dei costi, sul 2% annuo lordo nel periodo 2006-2016. Quella netta potrebbe quindi attestarsi su un 1,5-1,6%, anche per la perversa normativa fiscale in vigore dal 2011, pretesa a gran voce da Assogestioni, associazione di categoria. Nello stesso periodo i buoni fruttiferi postali, senza mai oscillazioni di prezzo e con garanzia dello Stato, hanno reso il 2% annuo netto composto. Ulteriore prova della insulsaggine, per usare un eufemismo, del risparmio gestito.
Per giunta sorge il dubbio che pure la pubblicazione in questione, magari in buona fede, edulcori un po’ la realtà. Nello stesso periodo per cui riporta costi annui medi del 2,0% (Ter) del 2,3% (Tsc) per i fondi azionari, Mediobanca arriva già al 2,5%, pur senza le commissioni di ingresso e uscita. Inoltre nell’indice Tsc mancano comunque i costi impliciti per i titolo sull’euromercato, con differenziali fra prezzo di vendita e di acquisto anche superiori al 5% per quelli poco liquidi.

Infine ci vorrebbe una stima, ovviamente ardua, delle perdite causate dalle malversazioni, facili e facilissimamente occultabili grazie all’opacità dei fondi comuni. Certo che c’è qualche controllo nel settore, ma chi non ha nessun diritto a verificare cos’hanno fatto coi suoi soldi è proprio chi ce li ha messi. Curioso, no?

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